Sentenza n. 448 della Corte d’Assise Straordinaria

(Da Gabriele Coltro, I crimini di Salò. Venti mesi di delitti della Repubblica Sociale nelle sentenze della Corte d’assise straordinaria di Padova, goWare edizioni, 2020)

Sentenza n. 448 del 13 gennaio 1947, presidente Orazio Di Mascio, giudice a latere Adolfo Martino, giudici popolari Carlo Baraldi, Arturo Rizzo, Mario Fiorin, Lino Capuzzo, Cesare Savardo, pubblico ministero avv. Dino Sequi, cancelliere Antonio Voccola

MAZZON BRUNO, fu Gino e di Tommei Ines, nato a Padova il 14.08.1910

DI VELO ASCANIO, di Domenico e di Pagello Enriemma, nato a Vicenza il 18.02.1906

SNOJ STANISLAO, fu Francesco, nato (?), residente a Stra (Venezia)

imputati

MAZZON E DI VELO:

A) di collaborazione col nemico invasore (art. 1 Dll 22.04.1945 n. 142 in relazione all’art. 5 Dll 27.07.1944 n. 159 e art. 51 Cpmg) per avere, il primo quale milite della Gnr di Cittadella e il secondo quale milite della “Muti” e agente della Feldgendarmerie germanica, favorito le operazioni militari del nemico e nociuto a quelle delle Forze Armate italiane mediante ricerche e delazioni, arresti, maltrattamenti, cattura di prigionieri alleati, persecuzioni, sevizie prolungate ed efferate a patrioti e loro coadiutori, indagini di polizia sugli stessi, requisizioni, rapine, estorsioni, truffe;

B) di sequestro di persona (artt. 110, 605 Cp) per avere concorso con varie attività all’arresto di Zurlo Luigi avvenuto in Cittadella il 18.11.1944, privandolo in tal modo della libertà personale;

MAZZON:

C) di sequestro di persona continuato (artt. 81, 110, 605 Cp) per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso con altri, privato della libertà personale Eroni Attilio, Simeoni Luigi, Molinari Aronne, Tombola Romeo, Cabrele Gino, Tonello Giovanni, Gaiola Albano ed altri;

D) di truffa continuata (artt. 81, 640 Cp) per avere in Cittadella e in San Giorgio in Bosco ottenuto dai genitori di Simeoni Aldo e tentato di ottenere dalla moglie di Tosato Augusto, dal fratello di Feronato Ernesto e dalla madre di Fabris Vittorio la consegna di cose varie, di una somma imprecisata e di un cucciolo di boxer, con il pretesto di interessarsi del rilascio dei rispettivi congiunti;

E) di estorsione (art. 629 Cp) per avere nel settembre 1944, sotto minaccia di deportazione in Germania, costretto Ziero Bortolo a versargli la somma di lire 2000;

F) di lesioni personali continuate (artt. 110, 81, 582 prima parte Cp) per avere in concorso con altri cagionato a Simeoni Luigi e Cabrele Gino lesioni che produssero una malattia per giorni 30 a Simeoni ed oltre giorni 40 a Cabrele;

G) di tentato omicidio (artt. 56, 575, 61 n. 5 Cp) per avere nel novembre 1944 in Cittadella, profittando di circostanze tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, al fine di cagionare la morte di Cazzadore Livio e Vomiero Giuseppe, esploso contro di essi diversi colpi di arma da fuoco, non raggiungendo l’intento per circostanze indipendenti dalla sua volontà;

DI VELO:

H) di lesioni personali gravi e aggravate (artt. 582 n. 6, 61 n. 4 e 5 Cp) per avere, il 19.11.1944 a Galliera Veneta e in Padova, bastonato Desiderato Nello causandogli la perdita di quattro denti con conseguente indebolimento permanente dell’organo della masticazione, la rottura di tre costole e della testa, agendo con crudeltà verso di esso e profittando di circostanze tali da ostacolare la pubblica e privata difesa;

I) di sequestro di persona continuato (81, 605, 61 n. 4 Cp) per avere, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, privato della libertà personale Leso Paolo, Cocchio Pietro, Gomiero Gino, Soranzo Vinicio, Marchetti Gino, don Giuseppe Dalle Fratte, Bernardi Guerrino, Molinari Aronne, Tombola Guerrino, Cabrele Gino, Tonello Giovanni, Gaiola Albano, Amedeo Agostino, Compagnin Giovanni, Toso Pietro, Rossato Arduino, Maritan Augusto agendo con crudeltà verso di essi;

L) di lesioni gravi continuate (artt. 81, 582, 583 prima parte Cp) per avere, adoperando sevizie e agendo con crudeltà verso Leso Paolo, Cabrele Gino, Bernardi Guerrino cagionato agli stessi lesioni che determinarono una malattia per giorni 30 e l’indebolimento permanente dell’organo della masticazione al Leso, la rottura di un braccio al Cabrele e la malattia per giorni 30 e giorni 20 rispettivamente al Marchetti e al Bernardi; con l’aggravante per tutti gli imputati e per tutti i reati concorrenti con quello di collaborazione di avere profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica e privata difesa;

SNOJ:

M) di collaborazione col tedesco invasore (art. 1 Dll 22.04.1945 n. 142 in relazione all’art. 5 Dll 27.07.1944 n. 159 e art. 58 Cpmg) per avere quale agente della Feldgendarmerie germanica prestato aiuto ed assistenza al nemico invasore nell’arresto di patrioti e partigiani e sbandati dopo averne sorpreso la buona fede e tradito la fiducia.

(omissis)

Il Collegio ha ritenuto di dover accogliere la richiesta del Pm in ordine all’imputato Snoj Stanislao, in quanto dalla stessa imputazione di collaborazione nessuna causa ostativa è contestata che possa impedire l’applicazione del beneficio dell’amnistia. Ha ritenuto poi il Collegio prendere in esame le particolari imputazioni di tentato omicidio e di estorsione ascritte al Mazzon, decidendo di assolverlo dal primo delitto per insufficienza di prove e dal secondo per non aver commesso il fatto. L’imputazione di tentato omicidio trova la sua origine in una denunzia di Cazzadore Livio il quale affermava, confermandolo in istruttoria e al dibattimento, che in una sera del novembre 1944 in Cittadella egli e il partigiano Vomiero Giuseppe pedinavano un tedesco per disarmarlo, quando giunti presso l’albergo “Roma” furono fermati dal milite della Gnr Mazzon Bruno che richiese loro i documenti; ma essi dettero una spinta al Mazzon e si diedero alla fuga, mentre il Mazzon estraeva la pistola scaricandone contro di loro tutti i colpi. Il Mazzon ha ammesso la prima parte del fatto, negando però di avere esploso alcun colpo e dichiarando che egli quando fu spinto cadde a terra. Su tale episodio non è stato possibile sentire altri testi che il denunziante Cazzadore. Questi ha bensì confermato con giuramento la denunzia, e ad analoga domanda ha risposto che era sicuro che i colpi erano certamente diretti verso di loro come poté notare volgendosi intorno mentre fuggiva e osservando la fiamma che ad ogni esplosione usciva dalla canna della pistola. Ma il Collegio, considerando che lo stesso Cazzadore dichiarò che il fatto avvenne ad ora tarda della sera quando era già buio, che il Cazzadore nell’orgasmo della fuga non poteva essere sicuro delle sue osservazioni, che comunque non può aversi nessuna sicurezza sull’eventuale fine che il Mazzon si proponeva esplodendo l’arma dopo aver ricevuto la spinta e che la sola testimonianza del Cazzadore non può sufficientemente convincere la Corte della volontà omicida del Mazzon e delle circostanze di fatto che costui contesta, ha ritenuto corrispondente ad un criterio di giustizia doverlo assolvere per insufficienza di prove. Quanto alla imputazione di estorsione la Corte è pienamente convinta dell’innocenza del Mazzon. È infatti risultato non solo dalle dichiarazioni di questi che ha negato l’addebito, ma della stessa pretesa vittima dell’estorsione Ziero Bortolo, che ammise in dibattimento che in seguito ad un incidente stradale una stanga del suo carretto investì, danneggiando il parabrezza, un’auto pilotata dal Mazzon; e che egli, senza subire minaccia alcuna, pagò pel risarcimento del danno 2000 lire su esibizione della fattura delle riparazioni che furono eseguite. Niun dubbio quindi che da tale imputazione il Mazzon debba andare assolto per non aver commesso il fatto. La Corte ha però ritenuto la piena colpevolezza del Mazzon in ordine al delitto di truffa continuata a lui ascritta […]. Sta in fatto che è emerso per le risultanze processuali e dibattimentali che era suo abituale sistema, appena avvenuti gli arresti, mettersi a contatto con i parenti delle persone arrestate e raggirarli promettendo di interessarsi per ottenere la loro liberazione, ottenendone – pur senza farne espressa richiesta – compensi in denaro e in merci. In tale attività del Mazzon la Corte ha ritenuto sussistere tutti gli estremi del reato di truffa. Di tale attività truffaldina hanno deposto il dott. Giorgio Giaretta e Baggio Alberto. Le deposizioni della teste Sgarbossa Celestina e di suo cognato Zurlo Giuseppe hanno dimostrato che il Mazzon, dopo l’arresto di Zurlo Luigi (del quale purtroppo mai più si è saputa la sorte) si mise in contatto con la Sgarbossa, moglie dell’arrestato, offrendole di farne ricerca e interessarsi a liberarlo, inducendola con false informazioni ad accompagnarlo presso comandi a Padova e Vicenza, con l’evidente intenzione di spillarle denaro; e l’imputato stesso ammise in udienza di avere ricevuto dalla Sgarbossa 2000 lire per quanto non ebbe a richiederle, circostanza confermata dalla Sgarbossa. Similmente, dopo l’arresto di Tosato Augusto, catturato perché quale sarto confezionava indumenti pei partigiani, si mise in contatto con la moglie di lui Brugnaro Margherita e le disse che se voleva evitare la deportazione del marito in Germania doveva sborsare una grossa somma, circa 30 o 40 mila lire, come la Brugnaro confermò in dibattimento; somma che essa non volle versare perché conosceva il Mazzon come ricattatore. Con lo stesso sistema, promettendo di evitare la deportazione in Germania del figlio Simeoni Aldo, ottenne in più volte dai suoi genitori Simeoni Virginio e Lago Maria la consegna di derrate alimentari per un valore di circa 30.000 lire; sovvenzioni che durarono per circa un mese e mezzo e cessarono soltanto con la effettiva deportazione in Germania del Simeoni Aldo che più non tornò. Similmente, dopo l’arresto del dott. Vittorio Fabris, il Mazzon cominciò a circuire la madre di lui Pagani Maria, vedova; la teste disse: «Il Mazzon si comportava in modo da darmi ad intendere che lui poteva qualunque cosa; non fece mai esplicita richiesta di denaro, ma implicitamente il suo contegno faceva comprendere che ne ricercava». Il Mazzon, pur ammettendo di aver egli proposto di interessarsi al fine di liberare vari arrestati, nega di aver ciò fatto per spillare denaro. Però il Collegio di fronte alle esplicite deposizioni dei testi non ha esitato a ritenere che il Mazzon abbia consumato delle vere e proprie truffe nei loro confronti. Il Mazzon dev’essere ritenuto colpevole di lesioni volontarie personali continuate in danno del Simeoni Luigi e Cabrele Gino. Le lesioni in danno del Simeoni sono provate dalle dichiarazioni di costui, confermate con giuramento in udienza, e dalle risultanze della perizia medica; quelle in danno del Cabrele risultano per la testimonianza della madre Massaro Giubila che confermò come anche il Mazzon ebbe con gli altri a percuotere il figlio con una doppia canna di un fucile da caccia spezzato. Che infine il Mazzon abbia attivamente collaborato col tedesco invasore non è dubbio. Milite della Gnr di Cittadella, passò poi alle dirette dipendenze del nemico come informatore dell’Ufficio Anders. Che egli abbia partecipato all’arresto dello Zurlo, il patriota del quale non è stato possibile conoscere la fine, è comprovato dalla chiamata di correo del Di Velo, per quanto questi in dibattimento abbia modificato le sue dichiarazioni, e dalla circostanza affermata dal Baggio Franco che, quando fu operato l’arresto, il Mazzon si trovava nella piazza di Cittadella ed osservava la scena con interessamento, dando l’impressione di non essere estraneo all’operazione stessa. Egli concorse inoltre all’arresto di Eroni Attilio, del Simeoni Luigi e di un gruppo di patrioti a Limena; arresto ivi avvenuto il 7 novembre 1944 come risulta dalla deposizione di Massaro Giubila. Passando ad esaminare la posizione del Di Velo, il Collegio non ha esitato ad affermare che egli, date le risultanze dibattimentali e istruttorie, ha spiegato un’attiva collaborazione col tedesco invasore. Quale milite della “Muti” del gruppo rionale “Bonservizi” in primo tempo, passò poi alle dirette dipendenze della Feldgendarmerie tedesca, compiendo varie imprese nelle quali mostrò il massimo zelo, spiegando costantemente un carattere violento e brutale. Procedette all’arresto del patriota Zurlo, procedette all’interrogatorio, presso la Feldgendarmerie di via Cristoforo Moro, di Leso Paolo percuotendolo in modo da fargli cadere dei denti; si introdusse nella casa di Gomiero Gino per catturare un prigioniero inglese e lo percosse così brutalmente che il Gomiero, ragazzo di appena sedici anni, preso da paura finì per defecare e orinare; si introdusse per lo stesso motivo nella casa di Cocchio Gino con due militari tedeschi e lo percosse; nonché nella casa di Marchetti Guglielmo che percosse insieme ai figli e alla moglie, traendo in arresto il figlio Gino che ripetutamente percosse durante i vari interrogatori, fingendo anche di volerlo far fucilare. Episodio più particolarmente notevole è quello in casa del Cabrele Gino ove si trovava un gruppo di partigiani. Il Di Velo con altri tre o quattro, fra i quali il Mazzon, li fermò, li percosse spezzando un braccio al Cabrele con la doppia canna di un fucile da caccia. Minacciò e percosse Compagnin Giovanni e Toso Pietro, arrestò e percosse Maritan Angelo dopo avergli legate le mani dietro la schiena; percosse con pugni e calci e con un tubo di gomma sul corpo denudato Marcato Ugo. In altra occasione in compagnia di militari tedeschi si introdusse nell’abitazione di Mantovan Arturo per la ricerca di prigionieri alleati percuotendo Grigo Umberto che trasse in arresto. Percosse ripetutamente col solito tubo di gomma, durante un interrogatorio durato cinque ore, Rossato Arduino accusato di avere dato ospitalità a prigionieri inglesi. Possono trascurarsi altri episodi di violenza compiuti dal Di Velo e risultanti sia dall’istruttoria che dalle testimonianze rese in dibattimento, giacché quanto si è venuto fin qui esponendo prova pienamente la responsabilità del Di Velo in ordine al delitto di collaborazione, di sequestro continuato di persone, di lesioni gravi ed aggravate. Soltanto occorre ricordare, e ciò anche nei confronti del Mazzon Bruno, che il Di Velo e il Mazzon allorché compirono l’operazione in casa del Cabrele trassero in arresto e percossero brutalmente anche Molinari Aronne, nonché il Cabrele Gino, Tombola Romeo e Tonello Giovanni: di questi ultimi tre non si sono avute più notizie e se ne ignora la fine [Gino Cabrele, di Domenico, nato a Limena il 05.05.1915, fu deportato in Germania e fu dichiarato disperso il 07.11.1944; Giovanni Tonello, di Giocondo, nato a Limena il 06.01.1923, fu deportato in Germania e fu anche lui dichiarato disperso il 07.11.1944; Romeo Ottavio Tombola, nato a Padova l’8.04.1921, partigiano garibaldino del 7o battaglione “Busonera”, detenuto nella casa di pena di Padova subì pesanti interrogatori e verso la metà del novembre 1944 fu prelevato da due fascisti e di lui non si seppe più nulla, NdA]. Ha ritenuto il Collegio che i vari sequestri di persona operati dal Di Velo e dal Mazzon, come le stesse lesioni volontarie delle quali essi sono specificatamente chiamati a rispondere, debbano peraltro considerarsi come elementi costitutivi del maggior delitto di collaborazione ed in esso assorbiti; in quanto sia gli arresti sia le violenze durante gli interrogatori erano tutti diretti al fine di costringere i partigiani a svelare il segreto delle organizzazioni cospirative, a privare il fronte della resistenza interna delle forze più operative; al che la Corte ha ritenuto concretarsi in tutti i suoi estremi il reato punibile ai sensi dell’art. 51 Cpmg, risolvendosi l’attività degli imputati in un vero e proprio aiuto militare al nemico. Ha ritenuto infine la Corte che non possa nei confronti del Mazzon e del Di Velo dichiararsi estinto per amnistia il delitto di collaborazione. Pel Mazzon esistono due cause ostative: il fine di lucro e le sevizie particolarmente efferate. La prima causa ostativa è pienamente dimostrata dalla sua costante attività truffaldina, che spiega come egli si sia indotto a collaborare per trarre dalle sue losche operazioni un personale lucro in occasione degli arresti da lui o da altri operati […]. Sussiste poi senza dubbio l’altra causa ostativa delle sevizie particolarmente efferate. Oltre allo specifico fatto delle lesioni inferte al Cabrele Gino e al Simeoni Luigi, occorre far presente che quest’ultimo patì per opera del Mazzon vere e proprie sevizie atroci. Il Mazzon e i suoi accoliti nella caserma di Galliera lo obbligarono a bere otto bicchieri di acqua bollente molto salata. Rinchiuso poi in cella, gli provocarono tale sete che fu costretto a sedarla bevendo la propria orina; lo denudarono lasciandolo semisvenuto per le percosse; i fratelli Mazzon Bruno e Vasco lo percossero poi ripetutamente con un caricatore di mitra alla testa e quando era a terra sfinito tutti assieme lo percossero coi calci dei mitra e dei moschetti. Poi uno di essi gli applicò la corrente elettrica al basso ventre, il che gli procurò poi anche debolezza sessuale dalla quale dovette in seguito curarsi nella clinica del professor Belloni. E che il Mazzon usasse abitualmente tali sistemi risulta da un altro teste, Farina Walter, che in udienza confermò che dalla viva voce del Mazzon Bruno, il quale a mensa parlava con altri suoi compagni, sentì dire che un buon metodo per far parlare i patrioti era quello usato da lui e che consisteva nel dare da bere acqua e sale lasciandoli poi due giorni senza bere e dare poi uno o due cucchiaini di acqua dolce per stimolarne la sete. Quanto al Di Velo occorre ricordare che numerosi sono i testi che hanno deposto di essere stati vittime delle sue violenze e delle sue sevizie. Possono tralasciarsi tutte quelle che alludono soltanto a pugni, schiaffi e calci, in parte ammessi dallo stesso Di Velo, che ha però negato di avere mai usato sevizie. Molinari Aronne, però, dichiarò con giuramento in udienza di avere appreso dal Cabrele Gino, la mattina dopo l’arresto, quando cercò fasciargli alla meglio il braccio spezzato, che il Di Velo per obbligarlo a parlare gli aveva torto il braccio fratturato. Il parroco don Giuseppe Dalle Fratte depose in udienza che, allorché egli fu tratto in arresto, il Di Velo percosse il vecchio campanaro e impedì al cappellano la celebrazione della messa terrorizzando la popolazione. Marcato Ugo confermò in udienza che, tratto in arresto, fu interrogato al circolo Cappellozza e torturato dal Di Velo che lo percosse a pugni e pedate nel ventre e poi, fattolo spogliare, lo percosse spietatamente con un tubo di gomma; Gomiero Gino fu percosso con il calcio del mitra e minacciato di fucilazione. Desiderato Nello dichiarò di essere stato torturato dal Di Velo che quando lo trasse in arresto percosse anche la moglie incinta e la nonna ottantenne; durante il suo interrogatorio fu duramente percosso dal Di Velo che rideva e si divertiva alle sue sofferenze, che lo costringeva a mettere sul tavolo una mano distesa e poi la percuoteva duramente con una bacchetta di ferro; aggiunge il Desiderato che quando sfinito cadeva a terra il Di Velo lo calpestava in modo tale da non potere più reggersi e veniva condotto via in portantina; che per irrisione gli fece dare dei cachet per calmare il dolore alla testa […]. Santi Giovanni, mutilato di guerra privo dell’avambraccio sinistro, fu percosso in modo che ebbe due denti spezzati; Bordignon Domenico fu percosso col calcio della pistola riportando lesioni al labbro e denti spezzati; Compagnin Giovanni fu percosso dal Di Velo che poi gli puntò la pistola alla tempia; Tagliaferro Gianfranco fu percosso per due ore; Rossato Arduino, in un interrogatorio durato quattro ore, fu ripetutamente percosso con pugni e con un tubo di gomma […]. PQM Modificata la rubrica nel senso che le imputazioni di sequestro di persona e di lesioni personali continuate aggravate rimangono assorbite nel delitto di collaborazione ai sensi dell’art 51 Cpmg, dichiara Di Velo Ascanio e Mazzon Bruno colpevoli del delitto di collaborazionismo e il Mazzon inoltre del delitto di truffa continuata, e in concorso di attenuanti generiche condanna il Di Velo ad anni 27 di reclusione ed il Mazzon ad anni 25 di reclusione e lire 8000 di multa con le conseguenze di legge ed entrambi in solido al pagamento delle spese processuali. Ordina la confisca del loro patrimonio nella misura di un terzo. Dichiara condonato un terzo delle pene detentive come sopra inflitte e l’intera pena pecuniaria inflitta al Mazzon, determinando così le pene definitive in anni 18 di reclusione per Di Velo e in anni 16 mesi 8 di reclusione per Mazzon. Condanna Di Velo Ascanio e Mazzon Bruno in solido ai danni verso le parti lese Molinari Aronne, Cabrele Gino e Tombola Mario, liquidando tali danni in lire una per ciascuno, nonché alle spese di costituzione di parte civile […]. Assolve Mazzon dalla imputazione di tentato omicidio per insufficienza di prove e dalla imputazione di estorsione per non aver commesso il fatto. Dichiara non doversi procedere contro Snoj Stanislao in ordine al delitto di collaborazione per estinzione a seguito di amnistia.

16.11.1948 – la Cassazione applica l’amnistia al reato di truffa ascritto al Mazzon e concede un secondo condono sulla pena inflitta per collaborazionismo; rigetta il ricorso di Di Velo concedendo un secondo condono sulla pena inflitta per collaborazionismo

16.10.1961 – la Corte d’appello di Venezia concede l’amnistia a Di Velo

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