Primo Cattani, un ‘fasciocomunista’ della Bassa (di Paolo Bonaldi)

Primo Cattani nasce l’11 luglio del 1888 a Tornolo, nella frazione di Santa Maria del Taro, in provincia di Parma. Diplomatosi perito elettromeccanico, nel 1914 sposa Maria Angiari. Nel gennaio del 1916 arriva da Padova a Battaglia come capotecnico della Società Adriatica di Elettricità (SADE), che si occupa della distribuzione dell’energia elettrica prodotta a Battaglia utilizzando il salto d’acqua dell’ex mulino «dei sei». A Battaglia nascono i due figli: Italo Francesco nel 1917 e Fernanda Maria nel 1919.

Arruolato come soldato di leva nel 1908 con ferma di due anni, è richiamato nel 1917 con la mobilitazione della Grande Guerra. Dopo Caporetto, nel dicembre 1917, è incaricato di dirigere i lavori di smontaggio della centrale idroelettrica di Carpanè. Viene definitivamente congedato nel 1919.

Nello stesso anno aderisce al movimento fascista. Del primo fascismo Cattani incarna fin da subito l’anima rivoluzionaria e sindacale. Squadrista della prima ora, è protagonista delle violenze che squassano la vita politico-amministrativa di Battaglia e che determinano, nel settembre 1922, le dimissioni del sindaco socialista Riccardo Pistore. Due mesi dopo Cattani si presenta alle elezioni comunali di Battaglia alla guida di una lista, «concordata con il fascio padovano», in cui sono candidati tutti i fondatori del fascismo locale, che di lì a poco saranno assessori.

Eletto sindaco il 17 dicembre 1922, Cattani rimane in carica fino al febbraio del 1926, quando entrano in vigore le disposizioni che sopprimono i consigli comunali e introducono la figura del Podestà. La sua gestione è caratterizzata da uno spiccato dinamismo amministrativo e da molteplici iniziative finalizzate a migliorare la situazione economica e sociale del paese.

Quando iniziano i lavori di bonifica della tenuta del Catajo, Cattani si batte perché quelle terre siano affidate ai contadini del luogo, ma non riesce a raggiungere l’obiettivo anche per il mancato appoggio dei dirigenti del PNF. Nel 1923, alla presenza del capo del governo Benito Mussolini, inaugura la Conca di Navigazione che consente alle imbarcazioni di passare dal canale di Battaglia al Vigenzone e viceversa. L’opera, progettata dal Genio Civile prima della Grande Guerra, è realizzata con manufatti meccanici costruiti nelle Officine Meccaniche di Battaglia.

Lavora, senza grande successo, ad un piano di ampliamento delle aree urbanizzate. Collabora con la Società Operaia di Mutuo Soccorso nella costruzione di nuove abitazioni per i lavoratori. Progetta un ampliamento del territorio comunale, accorpando terreni di Carrara San Giorgio, Pernumia e San Pietro Montagnon (Montegrotto), che da pochi anni si era staccato da Battaglia.

Pubblica inoltre un libro sulla storia e sulle potenzialità dell’industria e del termalismo a Battaglia, intitolato Battaglia Terme – Storia industrie e problemi, dal 1100 al 1925 Anno III dell’Era Fascista, che – nelle intenzioni – doveva servire al successivo Podestà come «conoscenza dei problemi per bene amministrare il paese». Vi si tratta la storia di Battaglia, la sua vocazione termale, le nuove relazioni, la potenzialità industriale, il tutto nella esaltazione della “rivoluzione fascista”. L’iniziativa però provoca uno scontro in ambito amministrativo, per l’impostazione poco collegiale e, soprattutto, per il costo eccessivo rispetto a quanto preventivato dal Comune.

Nel 1925 sono approvate alcune importanti delibere consiliari che rivelano la particolare attenzione di Cattani per lo sviluppo industriale. Viene istituito un Comitato promotore per la costruzione di una società industriale elettrochimica. Si impegna inoltre per un maggiore sviluppo della Società euganea di Elettricità e della SADE.

Sempre negli anni in cui è sindaco fonda, con Alfonso Lunardi a Galzignano, una cooperativa di braccianti che trova impiego nei lavori di bonifica del Retratto di Monselice. Nel frattempo diventa uno stretto collaboratore di Giovanni Alezzini, un ex socialista di Arquà che è tra i fondatori dell’Associazione Nazionale Combattenti e che nel 1925 è nominato segretario federale di Padova. Tuttavia, a causa del suo carattere battagliero e volitivo, ma anche per le sue posizioni politiche favorevoli ad un fascismo anticapitalista, Cattani è oggetto di contestazioni e di attacchi denigratori, venendo tra l’altro accusato di essere «comunista e massone».

In qualità di sindaco il suo impegno più forte riguarda la “Tenuta del Catajo”. Tra il 1923 ed il 1924 Cattani cerca di costruire, assieme all’Opera Nazionale Combattenti, un percorso per ottenere parte delle terre da mettere a disposizione dei contadini del posto, prefiggendosi di raggiungere il risultato ottenuto nella vicina Arquà, per conto della locale Associazione nazionale combattenti, da Giovanni Alezzini. Questi era riuscito ad acquistare dagli agrari Masiero Centanin ad un prezzo molto basso terre agricole da consegnare a 300 famiglie di Arquà. Ma nel caso di Battaglia la situazione era assai più complessa: il Catajo, patrimonio degli Asburgo d’Austria, era stato requisito dal Governo Italiano nel 1917 e prima affittato a privati, poi assegnato alla Opera Nazionale Combattenti. Questo argomento viene portato in Giunta ed in Consiglio varie volte.

Alcuni brevi passi dell’ultima delibera di giunta, approvata nel febbraio del ’26, fanno capire l’orientamento politico di stampo “sociale” del sindaco. Delibera che tra le righe lascia intuire le contrapposizioni interne al partito fascista padovano, già sotto controllo del “blocco nazionalista e conservatore” della borghesia reazionaria degli agrari e degli industriali.

Acquisto Tenuta Catajo

(estratto dalla delibera di giunta comunale del febbraio 1926)

Richiamate le numerose lettere e deliberazioni atte a conseguire dalle competenti Autorità la cessione della tenuta del Catajo –  come beni appartenenti a cittadini di stati già nemici – a favore del Comune di Battaglia, la Giunta Municipale richiama l’attenzione degli Enti Ministeriali sulle gravi conseguenze che ne deriverebbe a svantaggio del Comune di Battaglia Terme qualora i beni del Catajo cadessero in mano a speculatori, società od altri enti aventi lo scopo di  smembrare la tenuta stessa o di riutilizzare il Castello o le sue adiacenze a vantaggio di iniziative ed imprese dannose specialmente allo sviluppo ed alla valorizzazione dell’Industria Termale dalla quale il Comune si prefigge ritrarre i migliori risultati economici. […]

La Giunta ritiene che il Governo abbia il dovere di impedire con ogni mezzo operazioni speculative a danno di un pubblico Ente qual è il Comune […] chiede che vengano esaminate le deliberazioni già in possesso al Ministero […] fa presente che la popolazione del paese segue con interessamento e con giustificata apprensione la risoluzione del problema e confida che al comune di Battaglia venga riconosciuto lo stesso diritto e venga fatto lo stesso trattamento usato ai comuni del Regno trovatisi nelle identiche condizioni riguardo alla cessione di beni appartenenti a sudditi ex nemici. […]

Delibera di acquistare tutti i beni “Casa d’Austria” amministrati dalla O.N.C. in favore del Comune sulla base di una offerta di tre milioni di Lire.

Questa complessa trattativa sui beni del Catajo non andrà mai in porto. Di tutto questo ambizioso progetto rimarrà solamente la bonifica delle “paludi del Catajo”. In sostanza i soldi pubblici aiuteranno il privato, con buona pace delle intenzioni “sociali” di Cattani.

Le iniziative di Cattani come sindaco sono numerose, ma i risultati concreti pochi. Troppi gli ostacoli finanziari e politici, anche interni. Pure sul versante urbanistico-territoriale Cattani semina molto, ma i risultati delle sue iniziative arriveranno paradossalmente dopo il 1945.

Chiusa l’esperienza amministrativa a Battaglia, Cattani si trasferisce a Monselice, mantenendo il ruolo di capotecnico della SADE. Nella città della Rocca assume importanti responsabilità sindacali (sia nel sindacato dei lavoratori agricoli che come delegato dei metallurgici). Si batte per il rispetto dei patti agrari, entrando in conflitto con esponenti del fascismo agrario e confermandosi – come scrive Tiziano Merlin – una «personalità dirompente ed aggressiva».

Negli anni Trenta, in pratica, non si trovano più tracce della sua presenza a Battaglia. Ma il trasferimento a Monselice probabilmente lo aiuta a ridurre le distanze dal gruppo dirigente del fascismo euganeo. Attorno al 1934 Cattani è nominato commissario del fascio a Galzignano e, negli anni successivi, è cooptato tra le gerarchie della federazione provinciale del PNF, con un cursus honorum forse tardivo, ma certamente di tutto rispetto: ispettore federale nel 1937, membro del direttorio federale nel 1938, vice Federale dal 1938 al 1940 e, contemporaneamente, membro della commissione federale di disciplina (1939) e della Giunta provinciale amministrativa in rappresentanza del PNF (1939-1940). Negli anni in cui ricopre la seconda carica del fascismo provinciale, Cattani si adopera per far nascere a Monselice un’industria di marmellate, che nei primi anni Quaranta giunge a occupare circa 200 lavoratori.

L’attivismo politico e organizzativo di Cattani è sugellato, nel 1940, con la sua nomina a presidente provinciale dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Non è un incarico di secondo piano, perché l’OND è forse il motore principale nell’organizzazione del consenso al regime e la sua presidenza, per prassi, costituisce un trampolino di lancio verso la carriera politica, a pochi gradini dalla carica di federale. Nel Programma per l’anno xviii Cattani, dopo aver definito il Dopolavoro «istituto squisitamente rivoluzionario», ricorda che «lavoro e dopolavoro si presentano nella moderna civiltà italiana come due necessità complementari: quella del lavoro per guadagnarsi la vita e quella del dopolavoro per elevarsi nella vita»; sottolinea la necessità di costituire il Dopolavoro Rurale, organizzando gruppi di suonatori di fisarmoniche, una banda, un coro maschile e uno di massaie rurali. Propone inoltre di lanciare alcune «feste dopolavoristiche rurali: Festa delle Tabacchine (a Montagnana), Festa della Famiglia Rurale (a Piove di Sacco), Festa della Mietitura (a Monselice)»; e conclude con un «Calendario delle Manifestazioni sui Colli Euganei».

Nel 1943 aderisce alla Repubblica di Salò, diventando responsabile delle brigate nere a Monselice. È molto attivo nei rastrellamenti e nelle rappresaglie ordinate da tedeschi e fascisti. Secondo le risultanze processuali, sarebbe implicato (con altri criminali del calibro di Francesco Toderini) nell’eccidio di Ferrara del 15 novembre 1943, quello narrato da Giorgio Bassani nelle Cinque storie ferraresi. Ancora, è coinvolto nell’eccidio di Castelbaldo del luglio 1944 e nel dopoguerra – come ricostruisce Fabio Fignani – sarà imputato anche per un rastrellamento avvenuto a Monselice, che si conclude con la consegna alle SS di 29 partigiani garibaldini, deportati in Germania il 14 dicembre 1944: «otto di questi ragazzi sono deceduti nel campo di concentramento di Mauthausen, mentre degli altri non si sa più niente» (p. 91)***.

Fanatico assertore del fascismo estremo, Cattani pubblica sul quotidiano padovano «Il Veneto» numerosi articoli nei quali ripropone l’idea di un fascismo rivoluzionario, anticapitalista e repubblicano. Emblematico l’articolo Movimento della socializzazione («Il Veneto», 29-30 dicembre 1944):

L’esperienza e le osservazioni di pensatori come Pisacane, Oriani, Corridoni affermano che le masse proletarie, nonostante i loro sforzi, non hanno potuto mai raggiungere la loro mèta, perché, sono state oppresse dalle forze palesi o celate del capitalismo. […]

Così coloro che, schiavi, avevano tentato ribellarsi pur di partecipare realmente alla guida politica-economica della nazione, furono invece costretti a più dura, più pericolosa schiavitù di prima, come quella fondata sulle menzogne dei postulati della democrazia e del liberalismo.

Il Fascismo aveva tentato di dare il colpo di grazie contro questo antistorico fabbricato dello Stato individuale capitalista. Molti intolleranti di tutto il mondo appoggiarono questo movimento sindacale corporativo e si cercò di mettere come fondamenta i principi di un ordine nuovo veramente popolare e collettivo, ma l’opera fu osteggiata da forze conservatrici interne ed esterne sempre più strette intorno dei postulati dell’anglicanesimo.

Le forze oligarchiche del capitalismo portarono discredito ed annientamento alle forme associative popolari e all’inizio del conflitto, quando doveva avvenire il passaggio dalla decrepita struttura liberale-democratica alle nuove forme del sindacalismo, le forze oligarchiche in alleanza ideologica con quelle capitalistiche e ai miti britannici riuscirono a far risorgere nel 1943 i muffiti idoli dello stato liberale e della democrazia. […]

Il proletariato italiano ha di fronte il suo avvenire. Il Duce gli ha aperto la strada con un vasto e totalitario programma di socializzazione, dove il lavoro non sarà più strumento di ricchezza e speculazione dell’alta industria e dall’alta banca, ma benessere del popolo che arriverà a crearsi una libertà, una vita più decorosa ed una vera giustizia sociale. Intanto bisogna però decidersi ed avere una vera comprensione del momento storico, rivoluzionario che sta attraversando la intera umanità: o lottare per la libertà sulla via che l’Uomo, inviato da Dio ci ha indicata, o ripiombare nella più nera schiavitù plutocratica o comunista.

Già alcuni settori delle nostre industrie e delle nostre amministrazioni godono i benefici di questo nuovo indirizzo. Operai preparati di coscienza e di responsabilità si sono accinti con dignità e slancio, felici che finalmente anche ad essi sia dato di partecipare fattivamente alla produzione economica e per essa di penetrare più adeguatamente nell’equilibrio politico. E’ certo che il movimento della socializzazione incontrerà resistenze e difficoltà dai capitalisti e dai nostri nemici; ma esso non si arresterà. La marcia rivoluzionaria procederà imperterrita anche su questo campo.

Dopo l’inizio della lotta partigiana Cattani si rifugia con la famiglia ad Arquà, cercando protezione in un ambiente in cui il suo amico Alezzini continua a esercitare una grande influenza. Sotto la sua casa di Monselice, in via Garibaldi, nell’aprile 1944 viene piazzata una bomba.

La modalità e finanche la data della morte di Cattani restano avvolte in un ombra di mistero. Sulla sua tomba, nel cimitero di Arquà, è riportata come data estrema quella del 20 agosto del 1946, ma in vista del processo e poi durante le fasi del dibattimento presso la Corte straordinaria d’Assise di Padova, la famiglia e gli avvocati difensori avevano snocciolato una serie di date diverse, comunque anteriori.

Dalle carte, ora conservate presso l’Archivio di Stato di Padova (fondo Corte d’Assise Straordinaria 1946/47, busta 455), emergono interessanti testimonianze e deposizioni processuali. Tra queste, una relazione manoscritta della moglie di Cattani. Nella relazione, datata 2 maggio 1945 e proveniente da Arquà Petrarca, Maria Angiari riferisce che il marito nel 1922 aveva partecipato alla marcia su Roma e che sotto Salò ricopriva il grado di vice Federale della provincia Euganea. Il 25 aprile 1945 partì da Monselice alla volta di Padova per recarsi dal Federale Vivarelli e la salutò dicendo: «forse non mi vedrai più». Per la moglie, Cattani era un idealista, scriveva molti articoli di propaganda, ma era contrario alle deportazioni in Germania.

Da queste carte, si ha la certezza che Cattani venne arrestato a Rovereto il 6 maggio del 1945. La sua deposizione, raccolta dalla Commissione Giustizia del CLN di Rovereto, porta la data del 14 maggio. Eccone alcuni passi:

mi sono autosospeso dal partito tra il 1928 ed il 1930 per opposizione agli atti di violenza. Dopo il ’30 fui Commissario politico a Galzignano, nel ’41 e ’42 mi dichiarai contrario alla Guerra. Ho promosso incontri con Pavolini per difendere l’ing. Gaggia della SADE. Sui fatti di Castelbaldo ero presente per mediare tra tedeschi ed italiani per la liberazione del fascista Pisanò e per evitare violenze. Mi sono iscritto alla RSI nell’ottobre del 1943 con una funzione di “equilibrio” e per la tranquillità pubblica. Ero maggiore ausiliario nelle Brigate nere di Monselice. Il 26 aprile partii verso Bolzano con il Ten. Ramaro e venni fermato a Rovereto.

È naturale che Cattani cerchi di circoscrivere le proprie responsabilità, glissando opportunamente sulle cariche ricoperte negli ultimi anni del regime e sotto Salò. Ma l’asciutta sequenza dei fatti permette una lettura assai meno drammatica e finanche meno onorevole del commosso saluto riferito dalla moglie. Perché la sua partenza da Padova con Cristofaro Ramaro, commissario del fascio repubblicano di Monselice, è a tutti gli effetti una fuga che precede di un giorno le trattative di resa.

La moglie scrive ancora il 23 maggio 1945, informando di aver ricevuto notizia che il marito è prigioniero degli alleati ed è stato portato a Modena. In data 8 agosto la questura di Trento conferma che si sono perse le tracce di Cattani e del suo autista, Gino Nastasio. Dell’ex gerarca si dice che potrebbe essersi nascosto in un convento a Venezia, oppure in una villa del vicentino, ma le informazioni richieste non approdano ad alcuna certezza. Nel frattempo, tra il luglio e il settembre 1945, vengono depositate numerose testimonianze a suo carico. Ad esempio quella del CLN di Galzignano, che denuncia «il famigerato Cattani, segretario politico nel ’34, sempre superbo e minaccioso».

Il processo a carico di Primo Cattani inizia, in contumacia, nel febbraio 1946. A distanza di pochi mesi, il 5 ottobre del 1946, l’avvocato Bianco Mengotti dichiara che Cattani, dopo essersi nascosto in un luogo segreto, era morto nel maggio del 1945: a suo dire, il parroco di Arquà sapeva tutto, ma era tenuto al segreto confessionale. Una seconda lettera dell’avvocato Schirò di Roma, recante la data del 26 maggio 1948, sposterà a la data di morte al mese di agosto 1945.

Questa insistenza nel fissare una data di morte anteriore a quella che poi sarà riportata sulla tomba, si spiega per i «risvolti ed interesse sia morale che materiale». Una sentenza di condanna, infatti, avrebbe comportato la pena accessoria della confisca (almeno parziale) dei beni di Cattani. E l’unico modo per scongiurarla era quello di convincere la Corte che il gerarca repubblichino era morto prima dell’inizio del processo. Perché la morte estingue l’azione penale.

I magistrati non diedero credito a questa versione. Così il processo a carico di Cattani, dichiarato latitante, prosegue fino a sentenza. Ma proprio alle ultime battute avviene un colpo di scena: il suo cadavere viene ritrovato nei pressi del cimitero di Arquà.

A leggere le cronache del tempo, appare difficile credere ad una coincidenza. Del dubbio che il cadavere fosse stato occultato si fa portavoce (in un articolo significativamente intitolato E’ VIVO O MORTO L’EX GERARCA PRIMO CATTANI? – Il mistero di una salma rinvenuta nei pressi del cimitero di Arquà) l’edizione di Padova de «Il Gazzettino» di sabato 25 gennaio 1947:

Primo Cattani, residente a Battaglia e capo delle Brigate Nere di Monselice nella RSI processato ieri 24 gennaio presso la Corte d’Assise Speciale. Doveva rispondere per i reati di collaborazionismo, omicidio di due persone avvenuto a Castelbaldo nel mese di luglio del ‘44, concorso in altri omicidi nella rappresaglia avvenuta a Ferrara nel novembre del 1943. La famiglia risiede ad Arquà.

La salma, ritrovata come si è detto lo stesso giorno, è avvolta in coperte. Il corpo è mummificato e quindi irriconoscibile. Viene chiamata la moglie che lo riconosce e dichiara: «mancava da casa da tanto tempo e non sapevo della sua morte». Altri cittadini di Arquà non lo riconoscono. I capelli del cadavere sono neri, mentre Cattani era grigio. Viene chiamato il Parroco, che dichiara: «a maggio del ’46 avevo portato i sacramenti ad un morente, chi mi chiamò mi disse che il morto era il Cattani». Ma nei registri parrocchiali non si trova nulla.

Viene rinvenuto poi un documento del Campo di Concentramento di Bolzano, luogo dove sembra sia rimasto vario tempo dopo la Liberazione l’ex gerarca. Da dove poi fuggì e rimase nascosto nei pressi di Vicenza, dove morì.

Evidenti sono le contraddizioni tra le varie dichiarazioni.

Nessuno in pratica si compromette! Anche per non essere accusato di occultamento di cadavere. L’Autorità Giudiziaria su incarico del Tribunale consegna la testa del cadavere rinvenuto all’Istituto di Medicina Legale di Padova per le analisi sui capelli e sulla bocca (protesi dentaria). Il processo continua, viene sentita la Signora Cavalletto, madre e moglie dei due cittadini di Castelbaldo uccisi. La signora al processo dice che Cattani era presente quella mattina durante il feroce rastrellamento assieme ai militari tedeschi di stanza ad Este. Il dibattimento accerta pure la sua presenza a Ferrara nel ’43.

L’avvocato difensore chiede il rinvio; Carabinieri e Magistratura continuano le indagini. Il processo viene aggiornato in attesa del rapporto del medico legale.

Il processo riprende giovedì 6 febbraio, andando subito a sentenza. Ne seguiamo il resoconto, sotto il titolo Corte d’assise Speciale – PRIMO CATTANI CONDANNATO A MORTE – (ma sembra sia già defunto davvero), nell’edizione de «Il Gazzettino» del 7 febbraio 1947. L’articolo ripropone molte delle informazioni fornite il 25 gennaio. Poi chiude con queste parole:

I giudici prendono in esame i documenti arrivati da Medicina Legale: incertezza sul colore dei capelli, la bocca era piena di terra segno che forse la sepoltura avvenne senza bara, conservazione del cadavere oramai mummificata. L’istituto di Padova chiede ancora tempo per completare gli esami. Il responso del Perito viene formalizzato e si stabilisce che vari elementi portano a confermare la identità del morto. Non si rinvia oltre il processo, la Parte Civile conferma i reati: rapina, incendio, omicidio, ecc. La Difesa chiede ancora rinvio, ma la sentenza viene pronunciata lo stesso giorno: condanna a morte per fucilazione alla schiena e confisca di un terzo del patrimonio che va allo Stato Italiano.

L’anno dopo, il 27 aprile del ’48, una registrazione nel Libro dei morti del comune di Arquà fissa per Cattani la data incisa sulla tomba. La vicenda giudiziaria termina invece nel giugno 1949, quando il Tribunale, confermando la sentenza della Corte d’Assise straordinaria, dispone la confisca di un terzo dei suoi beni.

Ringraziamenti

Alcune informazioni arrivano dalla lettura dei saggi pubblicati da Tiziano Merlin su “Terra d’Este”, da alcuni libri sulla storia di Monselice di R. Valandro, F. Rossetto ed ancora di T. Merlin.

Si ringraziano il Sindaco Massimo Momolo del Comune di Battaglia Terme per aver autorizzato la consultazione dell’Archivio Storico del Comune, il presidente Antonio Romano del Centro per la Documentazione sulla Storia Locale di Battaglia, la Biblioteca comunale di Battaglia con Maurizia Rosada, Francesco Zuin e Franco Sandon, Francesco Selmin per i preziosi consigli e infine gli eredi di Cattani per la copia del “foglio matricolare dell’Esercito” e per altre informazioni.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...