Deposizione ex maresc. GNR Monselice su spionaggio antigaribaldino [Archivio CASREC (Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea) – Università degli Studi di Padova, fondo “carte Gaddi”, f.s., c. 12]

COPIA CONFORME ALL’ORIGINALE DELLE DEPOSIZIONI DI CURSIO RAFFAELE

Chiar/mo Prof. Zuanazzi. A sua richiesta le trasmetto i nominativi delle spie che agirono contro l’attività del 4^ Battaglione della Brigata Garibaldi di Padova e contro il movimento clandestino in generale. A priori la presente non vuole essere una mia “exusatio” ma semplicemente la veritiera posizione dei fatti di cui io ne sono a conoscenza data la mia appartenenza alla ex g.n.r. Chiedo venia se, per disponibilità di carta e per le particolari contingenze che lei certamente comprenderà, sarò costretto ad essere molto breve e conciso. Qualora qualche punto di questa mia dovesse riuscirle oscuro per la forma da me usata, la prego Sig. Professore, di volermi compatire e di venire a chiedere ciò che non avrò saputo esprimere.

1° ZERBETTO GIUSEPPE – Il suddetto una sera del 6 o 7 ottobre del 44 mi si presentava nell’ufficio del distaccamento g.n.r. di Monselice e lamentandosi delle minacciose imposizioni fattegli al comando della locale b.n., si dichiarava disposto a dire, solo alla g.r. però, tutto quello che lui sapeva in merito al movimento partigiano della zona. La deposizione veniva raccolta in regolare verbale ed inviato alle autorità superiori per le decisioni del caso. In detto venivano fatti dei nomi, dei quali ricordo solo: Darzan, Girotto Luciano e Alfio Rossi. La sera del 17 s.n. come da ordini ricevuti, il cap. Meneghini Gaetano, comandante la 2^ comp. g.n.r., assumeva la direzione dell’operazione che, per fortuito caso, si palesava di vasta portata per il rinvenimento di una lista in casa dello stesso Darzan e che fece richiedere, al predetto capitano, l’ausilio della b.n. Prima che in succinto io narri di ciò che avvenne dei 29 Garibaldini, già appartenenti al I° Btg. Aquila della Brg. Garibaldi, è doveroso chiarire la figura morale dello Zerbetto, che deve essere in certo qual modo, attenuata per gli elementi che concorsero alla delazione. Pressato, egli cercò di sfuggire all’incubo di una rappresagli minacciatagli, per la posizione ambigua in cui lo stesso era venuto a trovarsi a causa dello scambio di alcuni ostaggi. Né d’altronde, i nominativi dati, venivano accusati specificatamente. Dopo l’arresto due o tre garibaldini furono malmenati dal vice federale Cattani e dal Ten. Leo Rossato, della b.n. Tale comportamento, unitamente alle velleità di questi, di offrire alla zona una cruenta rappresaglia come monito, fecero si che nascesse una vivace discussione che veniva risolta dallo scrivente che telefonava al prefetto Menna che veniva immediatamente sul posto. La promessa che i ragazzi sarebbero stati avviati alle armi, giacché niente di grave pesava a loro carico, (nel verbale non si faceva menzione di armi rinvenute) non venne mantenuta dalla citata autorità (i garibaldini possono essere interrogati su questa mia asserzione di invio alle armi) La causa va ricercata nelle pressioni a scopo politico, fatte dal Cattani e dal Rossato al federale Vivarelli. Così nella giornata stessa del 18, i ragazzi furono prelevati, con ordine scritto prefettizio, dal Comando Germanico S.D. di Padova.

2° ROSSI ALFIO – da Monselice – Losca figura di uomo che ha cercato di crearsi un’aureola di martirio col sangue di coloro che più non ritorneranno, distruggendo i verbali che potevano accusarlo e sperando nella scomparsa di coloro che furono allontanati dopo gli avvenimenti dell’aprile 1945. Arrestato la notte del 17 ottobre 1944, non in casa sua perché avvertito dell’operazione, si rendeva immediatamente conto della situazione precaria in cui veniva a trovarsi. Infatti fra le carte rinvenute, figurava quale comandante militare di zona e quindi solo responsabile della condotta dei garibaldini. Unica persona messa in camera di sicurezza, intercettava la mia comunicazione al capo della provincia nella quale specificavo che gli arrestati, tutti giovani inconsapevoli, che nulla avevano fatto di grave, potevano essere avviati alle armi, mentre i responsabili, quelli veri, sarebbero stati scoperti e puniti, si affrettava a dichiarare, esclusivamente al Rossato, che il capo era tale Giorio, soprannominato “Edera da Monselice”. L’operazione di arresto però, riuscì negativa. Il Cap. Meneghini rimproverava al Rossi questa rivelazione fatta al Rossato. Dopo due o tre giorni lo stesso asseriva che l’Edera poteva rintracciarsi presso tale Sturaro, pure da Monselice, staffetta partigiana, che aveva in deposito rilevante somma destinata alla lotta clandestina. Il Rossi stesso ci accompagnava volontariamente e ci svelava il luogo del nascondiglio e si procedeva al fermo dello Sturaro in questione. Nel frattempo il Rossi non venne sottoposto ad alcun interrogatorio sia perché cantava da solo, sia perché per la mia continua permanenza a Padova ove cercavo di migliorare la posizione dei garibaldini. Prova di ciò può essere data dalla famiglia di un garibaldino, che ora mi sfugge, e che abita in via S. Martino a Monselice. Al quarto o al quinto giorno, recatomi al comando S.D. con lettera prefettizia per il rilascio di otto garibaldini, mi venne risposto che ciò non era possibile, causa una dichiarazione che mi si mostrava, scritta a macchiane firmata dal Rossi Alfio, accusava i garibaldini di sabotaggio alla linea ferroviaria di Monselice con l’esplosivo fornito da tale Bernardini, autista di Cini, che già arrestato dalla b.n. era stato da me rilasciato perché nulla risultava a suo carico. Lo stesso fu nuovamente arrestato e, perché la di lui posizione non fosse maggiormente aggravata, dovetti far sparire una dichiarazione firmata dal medesimo per giustificargli il suo primo rilascio. Nel medesimo tempo ottenni di parlare con Girotto Luciano, il quale confermava che l’esplosivo avuto era stato dato al Comando di Battaglione, che non aveva servito ad atti di sabotaggio, che l’Alfio voleva rovinarli per salvarsi, che non potevano, ormai né giustificarsi, perché nulla sapevano, né controbattere le accuse del Rossi perché non creduti. Ritornato a Monselice, chiarii il tutto al mio comandante e rimanemmo d’accordo nel non dovere in alcun modo rilasciare il Rossi ai tedeschi, giacché, con quello che il medesimo poteva essere a conoscenza, potevano accadere luttuosi incidenti nella zona che noi volevamo tranquilla, affinché i panni potessero essere lavati, come si suol dire, in famiglia. Intanto, venuta la sera, il Rossi fu sottoposto non a torture per carpirgli segreti, ma a bastonate per la dichiarazione rilasciata, ad insaputa del cap. Meneghini e mia, al maresciallo germanico Smitt, dove vigliaccamente accusava dei giovani che non erano in grado di difendersi. Sotto le bastonate si (…) chiuso in un mutismo, non volle ritrattare ciò che aveva dichiarato ed aggiunse che anche lui lavorava per la stessa idea, giacché era al servizio del locale pretore, giudice Secco, che era assente. Al mattino seguente, arrivato il Secco da Venezia, veniva fatto un confronto che dava esito positivo. In conclusione il Rossi si trovava immischiato coi partigiani per incarico “specifico di sapere e riferire”. Il Meneghini dopo segreto colloquio col Secco, ordinava che il Rossi fosse ben trattato che ricevesse dalla compagnia, oltre al vitto, un gratuito litro giornaliero di vino, che avesse libertà di movimento nell’ambito della caserma. La di lui delazione venivano fatte al contilino (?). In ordine:

  1. Componenti e dislocazioni del 4° Btg. “Falco” della Brg. Garibaldi “in quel di Galzignano (lui stesso aveva eseguito il trasloco a quella zona dall Stortola di Monselice)).
  2. Indicazione, ed accompagnò dei militi all’abitazione del Prof. Bellini detto “Giglio” commissario politico del battaglione, ove trovavasi pure la fidanzata del predetto e il fratello di quest’ultimo, anch’essi partigiani;
  3. Indicazione, ed accompagnò dei militi all’abitazione di Ghiraldi Gemma detta “la bionda” corriera del battaglione.
  4. Rintracciò ed arrestò, in Pontemanco, tale Manattia, capo polizia di quella sezione democristiana.
  5. Accompagnò dei militi nella zona Stortola di Monselice, strada S. Pietro Viminario, per il rintraccio di “Socrate” Commissario politico di Brigata;
  6. Accompagnò dei militi nella zona di Mezzavia per il rintraccio di Manitu’ capo di stato maggiore di brigata.
  7. Arresto di Curzola e Sattin da Monselice.

Tutte le surriportate delazioni, come quelle precedenti, furono fatte senza alcuna pressione. Tutto il paese di Monselice, è a conoscenza della libertà che godeva il Rossi, che poteva svignarsela come e quando voleva. Allorché vidi che i tedeschi non richiedevano il Rossi e dato che nella zona si era addivenuto ad una pacificazione, come narrerò in seguito, lo stesso fu inviato alla casa di Pena di Padova, mentre la sua opera veniva fatta conoscere alla prefettura. Nei primi del mese di aprile 1945, il Rossi veniva rilasciato ed al Comando della 2^ Compagnia g.n.r. perveniva una lettera nella quale era detto: “Rilasciato dal Comando Germanico per servizi resi alla causa comune” Nel mattino del 29 ottobre 1944, il cap. Meneghini accompagnato da me, dal brigadiere Rinaldi, e dal giovane Fogliani, da Monselice, veniva in Padova, affinché il padre di quest’ultimo, noto per i suoi sentimenti contrari al regime, ed allontanatosi dopo gli eventi del 17 dello stesso mese, potesse ritornare in famiglia. Venne data parola e ne venne informato il capo della provincia ed il comandante della g.r. — Cominciava così con tale atto, l’opera di pacificazione – Prima del rientro a Monselice, approfittammo dell’occasione per recarsi al comando della S.D. e proporre che noi avremmo agito in quel di Galzignano (sapevamo tutto dall’Alfio) ove potevano trovarsi dei veri responsabili, perché la situazione dei garibaldini, venisse migliorata. Il maggiore comandante tedesco, faceva conoscere, che ormai non si poteva ricorrere a sotterfugi, giacché la sera stessa si sarebbe operato in Galzignano, ed ordinava al Meneghini quale comandante di quella zona, di assistere all’operazione relativa. Intanto il Rinaldi e il Pogliani rimanevano a Padova, causa la rottura della macchina. Venimmo a conoscenza che era stato arrestato dall’U.P.I. di Padova, il delinquente Molon Guido detto “Turchia da Monselice che spontaneamente s’era offerto di prestare servizi per cavarsela. L’azione veniva comandata dal Ten. germanico credo “Majer” della S.D. – Il Turchia ammanettato, unitamente ad uno dell’U.P.I., dei due che lo accompagnavano, fece la guida. All’intimazione dell’alt, nella casa Colladia, venne ferito, da certo Dacci dell’U.P.I., il cap. Orlandini che a quanto mi fu riferito, fu l’unico a non sottostare all’imposizione. Successivamente veniva ferito, dal tenente tedesco, certo “Nembo”. I due furono creduti morti. Dopo vivace discussione, il Majer desistette nel passare per le armi tutti i prigionieri fatti, e si rientrò a Padova. Rientrato a Monselice sul mattino, fui incaricato dal Meneghini di recarmi in Galzignano per il recupero delle due salme e delle armi. Mi furono assegnati di aiuto militi delle b.n. di Monselice e di Este e come guida si offrì il Rossi Alfio che conosceva il luogo. Giunto sul posto notai che la casa era semi-vuota e non trovai i morti e né le armi. Intanto le b.n. che avevano iniziato un rastrellamento, furono da me richiamate perché tali non erano i compiti assegnatomi e rientrai a Monselice ove stesi il mio regolare rapporto inveendo contro le b.n. e dichiarando che io per l’avvenire, mi sarei attenuto dal collaborare con esso giacché nel rastrellamento che avevano iniziato era venuto a mancare, in una abitazione, una collana d’oro, che fortunatamente venne restituita. Per questa mia presa di posizione, venivo accusato di poca iniziativa dal Rossato Leo, che per parare un’eventuale colpo, si recava a Padova ove otteneva un rastrellamento (II° Mobile e tedeschi) in cui veniva bruciata la casa dei Celadin, mentre l’Alfio Rossi faceva ancora da guida. Il ritmo degli avvenimenti incalzava sempre più impressionantemente. Rastrellamenti sui colli, a Pernumia, a Tribano da parte dei tedeschi. Da quest’ultimo paese riuscivo, ad operazione ultimata, a recarmi al locale teatro a liberare tutti i rastrellati compresi fra essi Frizzarin Guerrino, uno degli appartenenti del 4^ Btg. Intanto ai primi di novembre riuscivo a far presentare “Beppe-Toni Salvagno Girotto e Bassano. Furono ben trattati e fu assicurato, da parte del Comando tedesco, la cessazione delle rappresaglie e la liberazione degli ostaggi (quest’ultima parte mantenuta solo in parte). Fu mandato a chiamare “Giglio” alias Prof. Bellini, che sentito e clausole, si presentò per salvare il salvabile. Questi però, mentre veniva dallo scrivente, veniva arrestato da parte della b.n. di Monselice, che stava passandolo per le armi. Il mio deciso intervento risolveva la questione. E non fu l’ultimo, giacché i garibaldini, ai quali era stata data la parola d’onore, venivano bersagliati dalla predetta b.n. e trovavano asilo o nella caserma o nell’accompagnamento da parte dei militi della g.n.r. “Lampo e Beppino ed altri sono a conoscenza della cosa per esperienza. Ad Ampelio ed altri venne rilasciato particolare certificato. “La Gemma” fu trattenuta nel distaccamento quale donna di servizio, perché le b.n. di Maserà volevano arrestarla a qualunque costo. Si chiusero due occhi per la consegna delle armi, che poteva chiamarsi cineli (?), nonostante che fossimo al corrente del reale armamento. “Beppe e Frizzarin venivano prelevati dalla casa di Pena di Padova e rimessi in libertà. Il Prof. Bellini accusato per puntiglio della b.n. di Monselice, veniva tradotto a Padova e gli veniva tolta la condanna a morte per forte pressione della g.n.r. – La fidanzata dello stesso, la sorella di “Aldo, ucciso dai tedeschi, poteva rientrare in parziale possesso della roba che la b.n. di Maserà aveva asportato. Giovani che potevano essere arrestati già facenti parte al movimento garibaldino, avvertiti e messi in ordine (caso Baù da Monselice) – La famiglia di “Edera” fu rilasciata. – Fu tolto il sequesto al magazzino delle “Barzan” – Questo in breve tempo il mio comportamento. Da ciò l’accusa da parte delle b.n. ch’io ero il patrocinatore ed il difensore dei partigiani. Non avevo paura perché non facendo alcun doppio gioco, giacché io seguivo i dettami della mia coscienza che vedeva lo scorrere innocente del sangue italiano. Era quel mio istinto che mi faceva accorrere primo ad ogni bombardamento quando ancora l’aria era pregna di polve e mi dava il coraggio di rianimare per rimuovere, in luogo innocuo, le bombe inesplose. Anche se fra i garibaldini c’era qualcuno tara, per me contava la sostanza e non la forza. Una settimana prima della presentazione di Bellini, si costituirono alla b.n. di Monselice “Orso e Monca. Il primo, poco dopo fu arrestato per omicidio. – Dopo vario tempo, la questura di Padova, mi chiese un dettagliato rapporto per l’autorità giudiziaria. Dopo varie discussioni riuscii ad avere le informazioni volate dal tent. Rossato Leo. Lessi così il rapporto inviato dallo stesso alla II^ mobile e copiai i due certificati di autopsia redatti dal medico della b.n. Dr. Sabbatini. Svolsi le mie indagini ed inviai il relativo rapporto. In esso, ammettendo la tesi del medico che sosteneva che il Gabelotto guardiafili ed interprete tedesco presso il comando germanico di Vanzo, era stato sepolto vivo, specificavo lo svolgersi dei fatti, che il Gabelotto, creduto spia, era stato prelevato dagli appartenenti al 4^ Btg.- Alla sede di questo, si addivenne ad una scissione di idee. I giovani volevano la morte e gli anziani facevano opera di pacificazione. Intanto sopragiunse “Balbo” comandante del 5^ Btg. Che ne sentenziò la morte che fu eseguita dall’Orso (Businaro) che gli diede una pugnalata (come la confessione dello stesso in possesso della b.n. e da tale Garatti, ucciso al rastrellamento di Pernumia, presente “Nembo” fucilato dai tedeschi di Este. – Il Gabbelotto svenne, e creduto morto, fu sepolto. – Il mio rapporto dell’epoca, è attualmente in possesso della Questura. – Intanto il Rossato, che a qualunque costo voleva la sparizione del Bellini, accusò quest’ultimo di aver sparato su Gabelotto. Il Bellini fu arrestato, condannato a morte, ma mai gli venne presentata la deposizione d’accusa dell’Orso che era stato inviato in Germania solo perché si era in precedenza costituito.- Diffatti solo dimostrando l’assurdità dell’accusa, il Bellini venne prosciolto. E’ d’uopo mettere in rilievo che, allorquando il Rossato mi diede il dossiè Gabelotto, vidi una relazione segreta, nella quale era specificato che la scoperta dell’omicidio era dovuto al confidente della b.n. BREGGE’ GIOVANNI” da Monselice. – Se il caso fosse stato svolto da me, il tutto si sarebbe messo in tacere come quello analogo del Ten. della g.n.r. di Pontemanco, l’esumazione del quale non apportò alcun luttuoso incidente ed alcun strascico. BESA FEDERICO da Monselice – (proprietario del caffè sotto i portici vicino al fotografo Sangrossi). PULETTO GIOVANNI da Monselice (barbiere vicino alla ditta di tessuti Scarso) Di questi due nulla di preciso posso dire giacché fui avvertito dal cap. Meneghini di lasciar correre nel loro conto, qualora fosse risultato qualche cosa, perché informatori della b.n. CANOLA INNOCENTE – da Monselice – anche costui, come dei due sopra ebbi lo stesso avvertimento. Nonostante ciò, ex appartenente alla g.n. Come uomo vissuto strettamente vicino al Rossato, assieme ad altro suo collega che mi è noto soltanto col nome di Berto, è al corrente, almeno dalla parte iniziale, di tutto ciò che venne fatto nell’ufficio politico della b.n. di Monselice. Il Canola, inoltre dovrebbe conoscere l’attività degli elementi delatori che frequentavano il predetto Rossato, ed in ispecial modo, quella del Breggè Giovanni – Comunque una di lui deposizione, chiara e scevra da qualsiasi più o meno risentimento personale, potrebbe far luce su molte cose. IL PARROCO OD IL CAPPELLANO di S. Pietro Viminario – Il Cap. Meneghini me ne accennò in modo molto vago. Posso dire solamente che una volta lo stesso regalò alla 2^ Comp. della g.n.r. della benzina. PRETORE SECCO DA MONSELICE – Subdolo in ogni manifestazione della vita della ex repubblica sociale, aperto in quella concernente i rapporti con il tedesco. Conoscitore della lingua germanica ebbe modo di avvicinare qualche alto ufficiale della zona sud Padova – Ho parlato di alto ufficiale non per il grado in sé, ma per le attribuzioni specifiche che esso espletava, mi riferisse al cap. tedesco Schiviak, comandante, per alcun tempo il presidio di Monselice, dell’ufficiale comandante il rapporto che alloggiò nella casa di sfollamento del Secco che era sita sui colli Euganei e credo, precisamente in quel di Baone, di Este. – Dopo il maggio del 44, poiché grande scalpore c’era stato per gli invii in Germania che apparvero dovuti esclusivamente ad odii di parte (ove la sanzione si basava su lontanissimi precedenti senza tener conto alcuno se l’attività presente fosse più o meno in contrasto con le disposizioni di legge allora vigenti) ed a vendette personali, il maggiore tedesco sovraintendente al reclutamento per lavoratori da inviare in Germania nella zona di Padova, ebbe un’abboccamento col Pretore Secco. Ciò mi venne riferito dall’interprete che fece colazione alla mensa della 2^ Compagnia ausiliaria della g.n.r.. – Il risultato fu che il Secco fece dei nomi di detenuti che trovavansi rinchiusi nelle locali carceri mandamentali, a disposizione della autorità giudiziaria, ed ai quali, fece conoscere che era cosa migliore andare a lavorare in Germania, liberi, anziché essere rinchiusi fra delle sbarre. Non sta però a me sindacare un tale operato di vendita anche se la merce poteva essere più o meno tarata. – Per mia coscienza trattavasi di sangue italiano. – Comunque, nel giugno i designati per la partenza riuscivano in massa, ad evadere. Non ricordo esattamente il numero, ma esso si aggira dai nove ai tredici. Il Secco, pur di non venir meno agli impegni assunti nella forma più servizievole ed accondiscendente, oltre ed indipendentemente dalle indagini che esperirono i carabinieri, si affrettò a chiamare presso di sé il Rossi Alfio da Monselice, che altre volte aveva svolto analoghi servizi, e lo incaricò del rintraccio degli evasi. – Il Rossi stesso stette in prigione per una quindicina di giorni e dopo aver saputo quello che gli premeva, usciva e si collegava con gli evasi che trovavansi nella zona di Stortola di Monselice .- Nessuna scusa può essere plausibile per il fatto che se si fossero cercate delle responsabilità queste sarebbero cadute sugli agenti di custodia.- All’arresto del Rossi il Pretore Secco chiamato a confronto, confermò la tesi sostenuta dall’arrestato in merito alla di lui posizione giuridica di informatore dell’ambiente giudiziario e sostenne che le informazioni non avevano avuto la logica rappresaglia perché le suddette collegandosi con la situazione venutasi a creare per l’esistenza nella zona di elementi partigiani, attendevano una più vasta chiarificazione.- Di ciò logicamente ne era stato edotto continuamente il maggiore tedesco al quale la pratica relativa riguardava almeno in parto.- Dopo il confronto dal quale era zampillata un po’ dubbia la posizione del Secco, col cap. Meneghini della 2^ g.n.r. ebbe un colloquio, in camera separata.- Gli ordini che mi vennero dati in conseguenza di tale approccio furono: Relativa libertà del Rossi che serviva le finalità della repubblica sociale a cui l’imposizione di “Guardami negli occhi, dì tutta la verità.” – fattagli dal Secco, aveva sciolto ogni riserva. Rapporto adatto sul Rossi in merito alla nuova luce fattasi nei di lui riguardi.- Tranquillità sull’operato del Secco che in breve tempo avrebbe dissipato ogni dubbio con prove di fatto. In seguito nell’ufficio della 2^ comp. della G;r. mi fu comunicato dal cap. Meneghini, che il rastrellamento della zona di Pernumia, era stato dovuto alle informazioni fornite direttamente dal Secco, come comunicazione verbale avuta dal Comando Germanico di Este che aveva effettuata tale operazione. Venne l’aprile del 45 e lo scrivente, nonostante gli ordini ricevuti, seguì l’impulso della sua coscienza. L’ultima resistenza tedesca stava per essere infranta e per le situazioni contingentali non bisognava abbandonare il proprio posto e cercare con ogni mezzo d’impedire che la posizione della popolazione civile venisse a trovarsi in condizioni disperate. Alla metà dello stesso mese fui avvicinato da certo Stella Alessandro, e facemmo l’accordo sul da farsi. Il giorno dell’insurrezione di Monselice, dovuto soprattutto ai morti colpevoli solo di non aver voluto cedere il proprio velocipede al tedesco in ritirata, non trovò la zona impreparata.- Già un comitato di salute pubblica era stato eletto e lo scrivente aveva fornito: – 2 mitragliatrici “Breda – 6 fucili-mitragliatori – 200 fucili e moschetti (una sessantina recuperati di notte al comando della locale b.n. che era fuggito) – 4 mitra – le sten Inglesi – 2 casse di bombe a mano – 3 di munizioni – più di 20 pistole di vario calibro ed altro materiale bellico.- Non sta a me di farmi l’apologia di quello che le feci in quelle giornate; tutti quelli che combatterono mi hanno visto in ogni luogo. Il citato Stella può essere interpellato in merito.- Solo tengo a far presente che fui il solo fra quelli che più o meno potevano avere delle responsabilità, che rimasi al mio posto, conscio che la mia coscienza nulla aveva a rimproverarmi.- Il bottino fu rilevante.- Tutto ciò che esisteva a Montericco, 14 carri trainati da pariglia di buoi, sei carri trainati da cavalli, tutte le masserizie che venivano su essi trasportati, un’autocarro con rimorchio, una 1100 e furgoncino, un’altra autovettura colpita nei pressi dell’ospedale civile. Questo è ciò che inviai alla sede del C.L.N. che si era allora costituito. Non parlo poi del materiale esistente nella compagnia e nella caserma della g.n.r. – Il solo magazzino conteneva più di 200 coperte nuove di casermaggio, vario equipaggiamento ed altro. Anche la modo Tribuimpl, in servizio alla compagnia fu messa a disposizione come era avvenuto per le armi.- Ignoro quale fine abbia fatto tutto il suddetto materiale.- La mattina del 29 aprile fui invitato al locale municipio dove venni trattenuto ed inviato alle carceri per eventuale giudizio come del resto era nei precedenti accordi.- La situazione locale venne a precipitare causa l’infiltrazione di turbolenti che nulla avevano a che fare con l’avvenuta insurrezione.- La mattina del 30 venni interrogato da un sott’ufficiale inglese della F.S. Erano presenti SCARPARO FEDORA, ZIRON – figlio -, CANOLA BRUNO, GOLDIN ILARIO Fui chiaro ed esplicito in quelle delucidazioni che mi furono chieste: a) il nome del delatore che aveva causato l’arresto dei 29 garibaldini; b) consegnai il relativo verbale della delazione di cui sopra; c) attività in genere ed approssimativa della g.n.r. nella zona; d) Non chiesto dichiarai che nella cassaforte della caserma della g.n.r. c’erano altri verbali che potevano essere esplicativi per ogni operazione fatta (delazione del Rossi, verbali relativi alla b.n. locale, ed altro ancora che non ricordo.) Nella stessa giornata venni avviato al campo di concentramento per prigionieri di guerra. E’ da notare che al citato sottufficiale non feci alcun cenno del mio operato degli ultimi giorni, del tesserino n. 4 di “Patriota” che mi era stato rilasciato per il mio comportamento, da persona che conosceva e sapeva il mio passato (a me era sconosciuto), della bandiera del mio reggimento che all’8 settembre 43 m’era stata affidata col preciso giuramento di consegnarla esclusivamente alle autorità italiane allorquando fosse cessata la bufera della guerra che in qeui giorni era quanto mai esotica, e che è tutt’ora in mio possesso.- Al mio rimpatrio dall’Africa, ove ero stato trasportato come P.O.W. ho conosciuto molta verità.- Mi è lecito quindi farmi i seguenti interrogatori:

  1. Perché non è venuto alla luce il verbale della delazione dello Zerbetto?
  2. Anche se lo stesso fosse stato catalogato e portato via dal sottufficiale inglese, perché nel processo Zerbetto non si è fatto vivo alcuno dei presenti al mio interrogatorio?
  3. Quali le cause che hanno determinato l’iniquo silenzio della Scarparo? Del Ziron? Del Canola? Del Goldin?
  4. Perché la Bernardi Marcella, pure da Monselice, edotta della delazione dei garibaldini dal Brigadiere Rinaldi Antonio, al Municipio subito dopo il di lui fermo, ha taciuto?
  5. Perché sono spariti i verbali di delazione del Rossi, custoditi in cassaforte?
  6. Perché sono spariti altri documenti relativi alla b.n. locale, ed ora, che ricordo, il verbale della Scarparo Fedora?

Evidentemente, dato che le suddette domande mi interessano in modo particolare, non posso trovare nessuna risposta se non nell’antico adagio che dice “il diavolo insegna a fare le pentole ma non i coperchi”. Le persone, credute ormai nel regno dei più, son tornate e scottano per la realtà che esse conoscono. Prelevato il 26 febbraio 1946 dal campo di rimpatriati P.O.W.S. di Taranto, venni immediatamente tradotto alla casa di Pena in Padova. Quivi giunto fui altamente meravigliato nel trovare nientemeno che “Giglio” alias Prof. Bellini, già commissario Politico e successivamente comandante del 4° Btg. “Falco” della Brigata “Garibaldi” di Padova. – A richiesta dello stesso rilasciai dichiarazione atta, acché la situazione monselicense venisse inequivocabilmente chiarita in base ai precisi dati di fatto in mio possesso.- Dette dichiarazioni, naturalmente vennero in possesso dell’autorità giudiziaria.- Una domenica che ora non ricordo, ma che risale a circa quattro settimane, nel pomeriggio venni chiamato dal capo del P.M. della Corte d’Assise di Padova, Gravina, che venne ad informarsi in veste non ufficiale ma strettamente confidenziale, su ciò che aveva attinenza specifica in merito alla mia dichiarazione, del resto appena accennata, relativa all’attività del pretore Secco di Monselice. Alla mia esposizione mi fu fatto notare che la cosa assumeva carattere piuttosto delicato e che per mancanza di prove specifiche avrei potuto andar soggetto a pratiche cavillose e di carattere deteriorante nella mia posizione di imputato.- Mi fu assicurato comunque, che nei miei riguardi si sarebbe proceduto con retta giustizia. Non mi fu detto chiaramente quel che da me si richiedeva, e compresi di trovarmi ad un bivio nel quale la coscienza lottava con il miraggio di una giustizia nella quale potevo confidare. Il venerdì successivo il Gravina ritornò in veste ufficiale per l’interrogatorio.- Fui debole e la paura si impossessò di me, facendo tacere la coscienza. Non dissi niente della attività specifica del Secco, ed il tutto fu una ritrattazione che balza lampante dalla lettura del verbale che ebbi a firmare.- Poiché secondo quello che è a mia conoscenza, nel rastrellamento di Pernumia, ove trovò la morte del garibaldini Garatto, da Cadoneghe, la responsabilità è da ricercarsi nel pretore Secco, tengo a far presente che l’allora podestà di Monselice, Bruno Barbieri, non ebbe alcuna ingerenza nell’operazione suddetta e se la salma del Garatto venne a lui inviata dai tedeschi, deve essere stato certamente un errore.- Capisco perfettamente, la deviazione a cui sono andato a soggetto, ma le cause di esse possono essere comprese nella mia delicata posizione di giudicando.- Per quanto riguarda l’ultima parte della presente, la prego egregio professore, di voler comprendere e di fare in modo che ogni pregiudiziale avvenire, causa il caso Gravina, possa comunque abbattersi in modo deleterio sulla mia persona. Distinti saluti, F/to Raffaele Cursio Maresciallo ex Comandante g.r. di Monselice. Padova 3 giugno 1946

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...