L’Anpi di Padova partecipa con convinzione alle celebrazioni del Giorno del Ricordo. Nell’occasione propone alcune riflessioni ed osservazioni.
Nelle terre di confine fra Italia e Jugoslavia si svolsero, fra il 1918 e il 1954, numerosi episodi di guerra e di violenza che avvelenarono i rapporti fra i popoli, storicamente insediati in quell’area: italiani, sloveni, croati. Furono il manifestarsi e il prevalere di forze e correnti autoritarie e nazionalistiche a impedire, per decenni, l’instaurarsi di un clima di collaborazione e di pacifica convivenza fra i popoli.
Subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, centinaia di migliaia di sloveni e croati entrarono a far parte del Regno d’Italia, divenuto, a partire dal 1925-26, uno stato fascista, autoritario e dittatoriale. A questi nuovi cittadini l’Italia propose un trattamento inaccettabile: le loro lingue vennero proibite e umiliate; la loro cultura venne disprezzata e negata; le loro strutture associative proibite; le loro attività economiche, in particolare l’agricoltura, impoverite e marginalizzate. Decine di migliaia di nuovi cittadini abbandonarono le loro terre. Possiamo ben dire che a sloveni e croati, rispetto al resto degli Italiani, lo stato fascista riservò un di più di persecuzione e di oppressione.
La dittatura fascista, che perseguitò tutti i suoi oppositori, si accanì particolarmente con quelli “allogeni”: erano, nelle zone di cui parliamo, comunisti, cattolici, liberali. Ad essi venne riservata una quota assai rilevante del carcere, del confino, dell’esilio, della morte, che il Fascismo, con la sua polizia e con il suo tribunale speciale, aveva in serbo per gli avversari politici.
Il Fascismo scavò così un abisso di incomprensione, di diffidenza, di odio fra sloveni, croati e Italia: perché l’unica Italia che i nuovi cittadini conobbero fu quella della violenza, della dittatura, della prevaricazione.
Nel 1941 truppe italiane, germaniche e magiare invasero il Regno di Jugoslavia, che venne travolto e si dissolse. In Croazia e in Bosnia Erzegovina i fascisti ustascia di Ante Pavelic, con l’appoggio italo-tedesco, instaurarono uno Stato autoritario, clericale, razzista. Lo stato ustascia si distinse, oltre che per la collaborazione con Hitler e Mussolini, per la persecuzione e lo sterminio degli oppositori e delle minoranze etnico-religiose: antifascisti, serbi ortodossi, zingari ed ebrei.
Contro le invasioni straniere, contro gli ustascia, per la liberazione e la rinascita della Jugoslavia, sorse un potente movimento di liberazione, nel quale i comunisti jugoslavi ebbero un ruolo centrale. L’esercito partigiano mobilitò centinaia di migliaia di uomini e di donne, ebbe il sostegno di tantissimi civili- che questo sostegno pagarono duramente- poté contare sull’aiuto dell’URSS e degli Angloamericani. La liberazione della Jugoslavia fu merito storico delle armate partigiane: liberando il loro paese i partigiani jugoslavi diedero un contributo decisivo alla sconfitta del Nazifascismo e alla liberazione dell’Europa. Circa ventimila militari italiani, che si trovavano nei Balcani l’8 Settembre 1943, fecero la loro resistenza a fianco dei partigiani jugoslavi.
Alla liberazione del loro Paese i comunisti jugoslavi, sicuramente la forza politica che più aveva dato alla Resistenza, sfruttarono il grande prestigio e la popolarità che si erano conquistati per impadronirsi del potere: nel giro di pochi mesi imposero un regime autoritario, a partito unico; adottarono misure draconiane di collettivizzazione dell’economia, perseguitarono duramente i loro avversari politici, anche molti di quelli che con loro avevano collaborato nella Resistenza. Accadde così che qualunque oppositore del comunismo venisse additato ai cittadini come nemico del popolo e fascista.
I comunisti ripresero anche rivendicazioni e parole d’ordine tipiche del nazionalismo jugoslavo: la nuova Repubblica Federativa si batteva per l’annessione di zone mistilingui: la Carinzia, l’Isontino, Trieste, l’Istria, Fiume. E anche rispetto alle questioni nazionali chiunque non condividesse l’annessione alla Jugoslavia veniva considerato nemico del popolo e fascista e di conseguenza trattato. Accadde così, per ciò che riguarda le zone di insediamento italiano, che decine di migliaia di italiani non fascisti, in grande maggioranza lavoratori – contadini, pescatori, marittimi, artigiani, nuclei di operai; ma anche migliaia di italiani che avevano partecipato alla Resistenza nelle formazioni dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, subito dopo la guerra, vennero conculcati nella loro possibilità di scegliere l’appartenenza statuale. Inoltre le caratteristiche autoritarie e talora oppressive del nuovo regime, unite ad una gravissima crisi economica che colpì in particolare le classi popolari, allontanarono la grande maggioranza di questi italiani dal socialismo. Nelle coscienze di moltissimi di questi cittadini di lingua e cultura italiana maturò la convinzione, prima, la decisione poi, di dover abbandonare le terre in cui erano nati e cresciuti e di esodare in Italia. Tra il 1945 e il 1955, a ondate successive, la stragrande maggioranza dei cittadini di lingua e cultura italiana abbandonò paesi e città in cui erano insediati da sempre. Fu, quell’esodo, una grave ferita alla natura multinazionale e plurilinguistica di quelle terre, ma fu anche un grave fallimento del socialismo jugoslavo. Da idea che aveva animato un grande movimento di liberazione nazionale e sociale a pratica burocratica ed autoritaria, negatrice delle libertà che aveva evocato e per cui milioni di uomini e donne avevano lottato.
Come è noto, in tutta l’Europa che era stata occupata dai nazisti e che aveva conosciuto fenomeni di collaborazione con gli occupatori ci furono, nell’immediato dopoguerra, episodi di giustizia sommaria che portarono alla liquidazione fisica di decine di migliaia di collaborazionisti. Ciò è avvenuto in Italia, in Francia, in Belgio, in Olanda: praticamente dovunque. Non mancarono episodi di crudeltà, linciaggi, anche eliminazioni di persone che avevano scarse o addirittura nessuna colpa. Nelle zone adriatiche e istriane molte eliminazioni sommarie si conclusero con l’infoibamento delle persone uccise. Non furono colpiti solo i criminali di guerra, i delatori, le spie; ma anche “pesci piccoli”. All’indomani della Liberazione nelle zone contese fra Italia ed Jugoslavia ed occupate e amministrate dagli Jugoslavi gli episodi di eliminazione di fascisti e collaborazionisti furono molto numerosi; ad essi si aggiunse la deportazione di alcune migliaia di militari italiani delle forze armate e delle forze di polizia fasciste catturate dai partigiani jugoslavi. Molti di loro, per le condizioni durissime del trasporto e della detenzione nei campi morirono, di malattie e di stenti. Ma a questa sanguinosa e talora indiscriminata resa dei conti, che, si ripete, fu un fenomeno europeo, si aggiunse, nelle terre contese, l’eliminazione di persone che nulla avevano avuto a che fare con Fascismo e Nazismo, anzi che lo avevano contrastato e combattuto: è il caso degli autonomisti fiumani, che avevano duramente contrastato D’Annunzio e Mussolini negli anni Venti, uccisi dagli jugoslavi all’atto del loro ingresso a Fiume: dei socialisti e azionisti goriziani, membri del CLN della città isontina, deportati dagli jugoslavi e mai rientrati; di rappresentanti degli antifascisti istriani di fede repubblicana e azionista, attivi nella lotta partigiana, ma spariti anche loro, nel maggio del 1945, per mano jugoslava. In questi ultimi casi vennero colpiti ed eliminati cittadini di sicura fede antifascista, che si opponevano però alla annessione jugoslava ed alla instaurazione violenta del socialismo.
Per l’ANPI la partecipazione al Giorno del Ricordo è quindi occasione per riflettere su un periodo “lungo”della storia. Risaltano le responsabilità gravi dell’Italia monarchica e fascista. Essa che considerava Trieste, Gorizia e le cittadine dell’Istria costiera “ italianissime “ e redente ha invece trattato le campagne e i paesi dell’entroterra massicciamente popolati da sloveni e croati come colonie. Ai “barbari” sloveni e croati ha negato diritti e dignità. Ha proseguito in questa politica folle e aggressiva con l’invasione della Jugoslavia, nel corso della quale ha scatenato la guerra a chi si opponeva alla invasione e ha adottato metodi terroristici contro le popolazioni civili che collaboravano alla Resistenza. La guerra ai civili jugoslavi scatenata dall’Italia monarchica e fascista è proseguita con l’internamento di decine di migliaia di civili sloveni e croati in condizioni durissime, con la morte di migliaia di essi; fra questi centinaia di bambini morti di denutrizione. Simbolo di questa vergogna è il lager italiano dell’isola di Rab-Arbe.
Tutto ciò ha creato, in molti sloveni e croati, un sentimento di rivalsa e di sfiducia profonda nell’Italia: sentimento che è “esploso” nell’immediato dopoguerra e che ha alimentato anche spinte nazionalistiche e atteggiamenti globalmente antiitaliani.
Quanto al Comunismo jugoslavo, la sua scelta di prendere il potere nell’immediato dopoguerra abbisognava, oltre che di un apparato militare e poliziesco, che era stato costruito durante la guerra partigiana, di elementi di consenso: così i comunisti, che si ispiravano a parole all’internazionalismo, dovevano invece accentuare un nazionalismo intransigente che rivendicava senza se e senza ma Trieste, Gorizia, tutta l’Istria, Fiume. Rivendicazioni nazionali e territoriali, che confliggevano con le legittime aspirazioni delle popolazioni di lingua e cultura italiana, ma che allargavano il consenso ad ambienti sloveni e croati, sia borghesi, sia contadini, sia clericali, particolarmente sensibili a queste tematiche.
Il nazionalismo e l’imperialismo fascista hanno creato le basi per un conflitto fra mondo italiano e mondo slavo, che ha portato, tragicamente e inevitabilmente, alla violenza e alla guerra.
Il Comunismo autoritario si è dimostrato incapace di creare consenso all’idea e alla pratica di una grande trasformazione sociale, cui ha sacrificato le libertà individuali e collettive. Nel caso della sua presa del potere nelle terre contese, ha usato, come elemento”compensatorio”,il nazionalismo antiitaliano.
Così la celebrazione e la riflessione del Giorno del Ricordo ci spinge a continuare la nostra ricerca e la nostra azione, ispirandoci ai valori della Costituzione: pacifismo, collaborazione e rispetto fra i popoli, antifascismo, democrazia delle libertà e della giustizia sociale, rifiuto del totalitarismo e dell’autoritarismo.
Floriana Rizzetto, presidente ANPI Padova
Maurizio Angelini, vicepresidente ANPI Padova